Manuale del tifo intelligente

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di Diego Abatantuono 

 

«Prendere una squalifica per discriminazione territoriale è come fare la Tac per l'influenza». La battuta è di un pendolare che magari non tiene al Milan ma tiene ad un cinismo tipicamente milanese. Offre la misura del ridicolo di fronte a una sanzione (partita a porte chiuse) che rappresenta, nel suo piccolo, un record.

 

Occhio a come si parla perché è un attimo a essere fraintesi: non pare neanche il caso di star qui a dire quanto sia inaccettabile ogni forma di razzismo. Piuttosto, la questione spalanca un capannone pieno di ricordi e di domande. La prima: cosa si può fare in uno stadio evitando il «porte chiuse»?

 

Scaraventare un motorino giù dalla gradinata, far saltare i controlli a un coltello, un bastone, un bazooka; dare del pirla a chiunque, basta stare sull?insulto individuale. Volendo, in caso di suocera che scassa dalla mattina alla sera, la si può portare in mezzo agli ultrà dopo averle regalato una sciarpetta con i colori della squadra ospite.


Tempo sette minuti e me la ricoverano in prognosi riservata. In compenso, da oggi, chi avesse voglia di far chiudere uno stadio, può rimettere in prova vecchi striscioni tipo «Giulietta è una zoccola» dei tifosi del Napoli in direzione Verona; «Solo il prosciutto, avete solo il prosciutto», direzione Parma; «Siete più brutti della Multipla», direzione Juve.

 

Da qui si evince che un centinaio di idioti detengono ormai un potere assoluto. Basta mettersi a urlare contro i meridionali a Milano o contro i polentoni a Napoli ed è fatta. Che poi bisognerebbe controllare la squadra di appartenenza, per non parlare della carta di identità.
Due contromisure utili a scoprire che trattasi di tifo e basta. Ottuso, bacucco, ma tifo. Perché è pieno il mondo di pizzaioli di Sorrento innamorati della Juve, di milanesi che tifano Lazio, di siciliani che tifano Inter.

 

L'argomento è piuttosto noto al qui presente Abatantuono, pugliese, milanese, milanista, interprete di un personaggio che della discriminazione territoriale fu un protagonista esposto. Anche se, mentre gridava «Viulenza!» segnalava una altrettanto evidente integrazione. Per non parlare di un tifoso cinico, fosforico, indimenticabile, Peppino Prisco: «Quando stringo la mano a un milanista la lavo, quando la stringo a uno juventino, conto le dita». Amatissimo anche se interistissimo. Insomma, mica facile distinguere.

 

Eppure, pare facile fare i duri e puri all'improvviso. Prendi un derby, per esempio. Il territorio è lo stesso. Roma o Milano, Torino o Genova, oppure Verona. Quindi? Liberi tutti. Puoi insultare le mamme, le mogli, le sorelle e le cugine, tanto sono tutte lì, qualcuna persino imparentata con della gente che le urla contro. E per le partite internazionali? Tutti a casa: metti che giochiamo contro i tedeschi, beh, è da sempre una questione di territorio, no?

 

Maleducazione e violenza, passano solo attraverso qualche filtro. Quello che elimina dalla scena il razzismo, benissimo. E quello che, di sponda, accosta al razzismo solo a qualche voce del dizionario. Per la prima volta, va in campo una restrizione che nasce da una mancanza di libertà. E di coraggio. La libertà di prendere provvedimenti, magari più seri; il coraggio di fare conti veri con la coscienza. Macchè. Da qui, che sei scemo posso dirtelo quando mi pare.

 

Se invece mi viene in mente di darti dello scemo di Pordenone, beh, ragazzi, il rischio è grosso. Quindi continuerò a darti dello scemo, tanto alla fine siamo tutti contenti. Tranne te, che sei «un scemo», come detto, prendere su e andare a casa. Un posto che so benissimo qual è ma non lo dico perché ho l?abbonamento nei distinti e non vorrei che mi saltasse una partita.


Pagina 01/49 (09 ottobre 2013) - Corriere della Sera

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