“Tu, quanti anni hai giocato nell’Inter?”

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L'ultimo capitano di lungo corso dell'Inter se lo ricorda, ancora e molto bene, quel momento. Era un giorno d'estate del 1995, Massimo Moratti iniziava la sua prima vera stagione da patron nerazzurro dopo l'addio di Ernesto Pellegrini, e lui, ragazzino argentino sbarcato sul pianeta Italia-Lombardia-Milano (riva del Naviglio nerazzurra) insieme ad Avioncito Rambert – nomen omen, presto il giocatore considerato "il" più forte dei due prese il volo per altre anonime mete -, passa alla storia come il primo acquisto del neo presidente.  

Al termine di un allenamento sui campi di Appiano Gentile, mentre Javier si dirigeva verso lo spogliatoio, gli si avvicinò un uomo dai capelli bianchi ma sicuro, quasi giovanile nei movimenti, più che impeccabile nel suo vestito completo, che gli allungò la mano e si presentò, "piacere, Peppino Prisco", "Javier Zanetti", sussurrò piano, avvolto da timidezza e referenza, l'argentino.

Javier non si ricorda se rispose a quell'uomo appena conosciuto un buongiorno in spagnolo, o con un immediato spontaneo ciao, una delle prime parole imparate sul suolo italico, ma bastò poco tempo al giovane argentino per intuire la personalità, il ruolo, il peso, la presenza, insostituibili, come dirigente e tifoso, che Peppino Prisco aveva all'Inter e nell'Inter.

E quella sera d'autunno poi? L'appuntamento per Zanetti era in un Inter Club a Cornaredo dove l'attendevano centinaia di tifosi per una simpatica serata. Nel programma era prevista anche la presenza dell'avvocato Prisco; gran vociare, cori di "Forza Inter", urla contro il Milan e la Juve poi, tutti seduti, la serata inizia ma l'avvocato non arriva.

Verrà non verrà? Iniziavano a domandarsi i tifosi. Il ritardo dell'avvocato nerazzurro non era frutto d'imprevisto o di cattiva volontà, ma di una precisa e meditata scelta. Non ne aveva certo bisogno per aumentare la propria fama ma il suo piccolo segreto era farsi attendere, arrivare a un appuntamento coi tifosi (mai l'avrebbe fatto sul lavoro, in tribunale!) in leggero ritardo per far crescere l'attesa sul "personaggio Prisco". 

priscoA onore del vero a volte arrivava in ritardo anche per tutti gli inviti a cui, per generosità, non riusciva a dire no... Eccolo che spunta dalla porta nella sala gremita, un boato lo accoglie, seguito da un rumore di sedie che si spostano. Tutti saltano in piedi, "Peppinoo Priscoo, Peppinoo Priscoo, Peppinoo Priscoo!, è uno scrosciare di applausi.

L'avvocato sorride a trentadue denti e con ampi cenni, quasi papali a mano aperta, saluta e si accomoda al tavolo degli ospiti, vicino a Zanetti. E il giovane argentino nerazzurro non può che rimanere a bocca aperta davanti all'accoglienza ricevuta da Prisco, passano i minuti e muore sempre più dalla curiosità, si fa coraggio, vince la timidezza, si avvicina con il viso all'avvocato e gli dice: "Tu, quanti anni hai giocato nell'Inter?".

Prisco si gira, lo guarda con tenerezza come un padre guarderebbe un figlio, non trattiene il sorriso e "fa" il Prisco: "Purtroppo ero impegnato, quando ero giovane, su altri fronti, a parte poi che non avevo le doti per giocare nell'Inter, non ho avuto questa possibilità...". In un'altra versione, più ironica, l'avvocato raccontò: "Nessuna, per mia fortuna e per quella dell'Inter, le mie gambe hanno la cellulite, sono più adatte per stare seduto dietro una scrivania in ufficio che a correre su un campo".

E come dimenticare il difficile periodo sportivo della seconda metà degli anni 90? L'Inter lotta e combatte, aggiunge il fenomeno Ronaldo (quello vero) all'impalcatura di una squadra tosta che però non riesce a vincere. Per mancanze proprie ma anche perché il sistema non ammetteva vincitori diversi dai previsti. Moratti, i calciatori, gli interisti tutti, scopriranno il perché molti anni dopo e Javier ricorda con nitidezza il ruolo da parafulmine di Prisco.

Una sorta di ombrello protettivo, - basti ricordare quando usciva a piedi da San Siro dopo una pesante sconfitta e si fermava a parlare con grupponi di ultras incazzati - sempre aperto sulla squadra e sulla società senza mai abbandonare la vena ironica, lo spirito scherzoso che lo rendeva diverso da tutti gli altri tifosi e dirigenti. "Lei sapeva usare frasi ed espressioni molto serie e dure per colpire e per cogliere pesantemente nel segno, chi attaccava la sua, la mia, la nostra amata Inter.

Teneva sempre vivo e allegro l'ambiente e ci difendeva in ogni occasione. La squadra prima di tutto e tutti. Era sempre vicino a noi, scendeva in spogliatoio e riusciva a dirci la parola giusta sia in caso di vittoria, sia di sconfitta", si legge nella prefazione del libro "Peppino Prisco una penna due colori", firmata da Capitan Zanetti. "Dopo ogni partita – continua il Capitano - mi faceva i complimenti e mi diceva: "Quanto corri Javier, quanto corri!". Dal figlio di Prisco, Luigi, Zanetti saprà, solo dopo la morte dell'avvocato, di essere stato uno dei suoi giocatori preferiti al pari dei campioni della Grande Inter.

zanetti championsPrisco aveva già capito che il Capitano sarebbe rimasto nerazzurro per sempre.... Il Capitano è riuscito persino a incedere sulla scelta dei sigari dell'avvocato. Durante le partite, allo stadio o alla tv, per decenni Prisco ha sempre fumato i medesimi sigari cubani. Ammetteva che puzzavano un po' e che potevano dare fastidio a chi gli stava vicino di seggiolino e poltrona ma per lui erano un rito intoccabile. Suo figlio Luigi ha sempre cercato – invano - di fargli cambiare la marca. Non c'è mai stato niente da fare, finché, una domenica, padre e figlio si siedono in salotto davanti alla tv per Verona-Inter.

Era il 3 novembre 1996, brutta partita destinata allo 0-0. Luigi offre a Peppino (si chiamavano per nome) un Toscanello e mentre lo fuma... rete!.

Un gol di Zanetti regala la vittoria all'Inter 5 minuti dalla fine. I toscanelli, l'avvocato, non li lasciò più. Quando Javier supera, nel 2011, il record di presenze assolute con la maglia nerazzurra ringrazia Peppino Prisco al pari dei suoi cari, del presidente Massimo Moratti e di Giacinto Facchetti. Perché Moratti, Facchetti e Prisco, ognuno nel proprio ruolo, sono la rappresentazione assoluta della grande famiglia nerazzurra.

"Non ho più conosciuto un'altra personalità sportiva così legata ai propri colori come era lei e allo stesso modo così rispettata dai tifosi delle altre squadre. Ricordo la sua commovente felicità a Parigi, nel 1998, dopo aver vinto la Coppa Uefa, tanto che dopo la cena ufficiale scese in strada a festeggiare coi tifosi, che ancora oggi la amano" – continua nella sua prefazione il Capitano.
Per averne conferma basta assistere a una qualsiasi partita dell'Inter al Meazza. Quando si diffondono le note dell'inno "C'è solo l'Inter" e si sente la strofa: "...E mi torna ancora in mente l'avvocato Prisco, lui diceva che la serie A è nel nostro Dna...", tutti la cantano e un brivido nasce sugli spalti per arrivare fino ai giocatori sul campo. "Caro Peppino, - termina Javier - non è riuscito ad assaporare, fisicamente, i nostri trionfi degli ultimi anni però sono convinto che lei, insieme a Giacinto, siete in ogni nostra vittoria come non foste mai andati via. Il vostro spirito è sempre con noi. Mai ci abbandonerà".

Nell'autobiografia del Capitano, "Giocare da uomo", uscita poco prima di Natale, sono tre le citazioni rappresentative dedicate a Prisco.
Raccontando del drammatico 5 maggio 2002, è citata una delle classica battute dell'avvocato, "Rimpiango sempre gli anni d'oro del calcio italiano, dal 1908 al 1951, quando invano il Milan provò a vincere lo scudetto"; ricordando Madrid, Zanetti parla delle precedenti finali perse dall'Inter in Coppa dei Campioni.

"C'erano state le due sconfitte di cui mi parlavano Facchetti, Moratti, l'avvocato Prisco e i "vecchi", quei giocatori, reporter e tifosi che da ragazzi avevano patito la finale perduta contro il Celtic nel 1967 e quella sfumata nel 1972 contro il formidabile Ajax" e dopo aver alzato la coppa dalle grandi orecchie alla stampa dichiarerà: "Sia Prisco che Facchetti hanno giocato insieme a noi questa partita, questa gioia è anche per loro; e rispetto al Centenario di fondazione"...Il razzismo si nutre di odio e di ignoranza e va debellato con la cultura e la conoscenza.

Ho partecipato, da capitano, alla grande festa di San Siro per il centenario dell'Inter, 1908-2088 e prima ancora di quella notte i "vecchi" interisti, dall'avvocato Prisco a Giacinto Facchetti, mi raccontavano della nascita del club Internazionale". Tre citazioni dal medesimo filo conduttore: Prisco è la storia nerazzurra, ha trasmesso preziose testimonianze dal passato per il presente e il futuro dell'Inter, oltre qualsiasi vittoria e sconfitta. Quando l'Inter arriva in cima al mondo il 19 dicembre 2010 con la conquista del mondiale per club, un altro pensiero di Zanetti è per l'avvocato: «La vittoria è dedicata a Facchetti e Prisco, due persone della famiglia-Inter».

Non era felice, Peppino Prisco, in quella notte parigina del 6 maggio 1998. Era raggiante. Lasciava la cena della squadra, scendeva sugli Champs-Élysées e come un ragazzino saltava, gridando "chi non salta è rossonero" insieme ai tifosi. "E' la mia sedicesima finale europea e non intendo certo fermarmi qui. Punto più in alto. Ho già un bilancio ampiamente positivo, ma nella vita tutto è migliorabile". Dopo quella Coppa Uefa arrivarono Coppe Italia, SuperCoppe Italiane , Scudetti, una Coppa dei Campioni e un Mondiale per Club. Tutti gli interisti sanno che l'avvocato non è mai andato via. Sarà sempre l'Inter.
"Non ho mai assunto l'iniziativa di abbracciare un giocatore. Anche se adesso nell'Inter c'è Zanetti che ha una faccia così da ragazzo per bene che lo saluto sempre con affetto.",disse Prisco in un'intervista ancora visibile su YouTube. Era un'amabile bugia, una domenica nel bordo campo di San Siro, dopo un gol del numero 3, Prisco lo cercò tra la nebbia e lo abbracciò. Il numero 3 era Giacinto Facchetti. Il testimone è stato raccolto dal numero 4, Javier Zanetti.

 

Marco Pedrazzini

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