Quel tricolore cucito in prigionia

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"Un gruppo di barbari e violenti fascisti invase la Russia cercando di occupare Mosca ma fu respinto dai valorosi partigiani sovietici". Questa frase, scelta a caso tra i temi svolti in una scuola media l'anno scorso fa quasi sorridere ma è particolarmente significativa: i ragazzi di oggi sanno ben poco dei tragici eventi che dal 1939 al 1945 scossero l'umanità.

 

E' giusto che non sappiano nulla del secondo conflitto mondiale? Senza dubbio, dopo più di quarant'anni, quella guerra appare assurda, inverosimile... ed è pur vero che allora la campagna di Russia aveva suscitato perplessità evocando sin dall'inizio lo spettro della ritirata di Napoleone.

 

Non so con esattezza quanti fossero i componenti del "gruppo di barbari e violenti fascisti": ricordo che dapprima venne inviato in Russia un corpo di spedizione (il CSIR) e l'anno successivo una intera armata (l'ARMIR). So con certezza che nella primavera del 1943 in Italia tornammo in pochi recando nell'animo e nel volto il ricordo accorato della tragedia vissuta e dei molti rimasti là nella steppa.

 

A Milano nel 1945, subito dopo la fine della guerra, i tanti parenti oppressi dalla stessa angoscia costituirono la "Alleanza familiare per i prigionieri dispersi in Russia", che installò un chiosco nell'atrio della Stazione Centrale sul quale venivano affissi cartelli imploranti notizie su chi non era tornato: c'erano fotografie, messaggi di madri, spose e familiari che volevano sapere qualcosa, al di là del desolante silenzio delle autorità.

 

All'"Alleanza familiare" le signore Corina Bianchi, Meme Pizzi, Piera Bosio, Clara Missiroli Covi e tante, tantissime altre si prodigavano nel raccogliere dati, notizie, informazioni che dimostravano quanto false, meditatamente false, fossero le note ufficiali. A fine anno arrivarono i primi prigionieri e furono assaliti da mille e mille domande, ma non sempre volevano ricordare, né i loro ricordi erano sempre lucidi, troppo offuscati dal dolore e dalle sofferenze patite in prigionia.

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Quando nel luglio 1946 giunsero in Italia poche centinaia di ufficiali (dopo una strana sosta a Vienna in attesa dell'esito del referendum istituzionale, come se i pochi voti di quei poveri superstiti potessero mettere in pericolo la vittoria della Repubblica!) le componenti della "Alleanza familiare" si resero conto che ormai quasi nessuno sarebbe più tornato, tanto che, dopo qualche mese, il chiosco fu smantellato.

 

Nel 1947, l'ultima domenica di gennaio, nel tempio di S. Fedele si riunì un' imponente folla per ricordare i caduti e i dispersi. Esattamente un anno dopo fu benedetta al Cimitero Monumentale una lapide dedicata agli eroici caduti sul fronte russo, nel corso di una cerimonia che si ripete, da allora, ogni anno.

 

L'"Alleanza familiare" aveva raccolto numerosi documenti e cimeli, fra cui una bandiera tricolore che due prigionieri avevano regalato alle "signore del chiosco" arrivando lì una sera del novembre '45: l'avevano realizzata con le loro mani nei campi di prigionia con tanti pezzettini di tela tinti e pazientemente ricuciti. Tutto il materiale fu consegnato alla professoressa Giulia Bologna che dal 1967 lo conserva al Castello Sforzesco, dove dirige l'Archivio Storico.

 

Dal 1973 la cerimonia in onore dei Caduti è celebrata ancor più solennemente, grazie alla volontà del Comune che si avvale della intelligente e appassionata organizzazione proprio di Giulia Bologna. Milano, unica tra le grandi città d'Italia, ha saputo continuare l'opera della "Alleanza familiare" e, come è giusto, onora tutti i nostri soldati, animati da un ideale oggi, ahimè, fuori moda: quell'amore di patria che non ha colorazione politica e che portò indifferentemente fascisti e antifascisti al sacrificio della propria vita.

 

Che poi i ragazzi di oggi sappiano poco o nulla di quella guerra forse non è giusto ma è, in definitiva, meglio per loro: noi dobbiamo vigilare perché certi eventi non abbiano più a coinvolgere la nostra gioventù. (1986)