Questa è la guerra

alpino2Prima a passo svelto. Poi, dagli ultimi vagoni del treno che mi lascio rapidamente alle spalle, di corsa sulla massicciata all'esterno della grande volta della Stazione Centrale fino alla fermata dell'autobus N. Che importa?
Metro dopo metro, a fatica, sotto i colpi del nemico ho fatto tanta di quella strada nella neve... Per non morire e per tornare a casa.
Ora mi sembra di volare.


 

Leggero, mi faccio largo tra i passeggeri che camminano con andatura regolare trascinando le loro valigie.
«Permesso, permesso!»
Lo zaino sballottato a destra e sinistra.
«Mi scusi, signore... dovrei passare... grazie...»


Ogni tanto mi volto indietro, ho la cupa sensazione che qualcuno mi stia seguendo. «Ma no, Peppino...» mi dico «stai tranquillo, adesso non c'è più nessuno. Adesso...». L'autobus N, a porte aperte alla fermata, sembra sia lì proprio per me ad attendermi. Salto su.

 

Il tragitto fino al Palazzo di Giustizia mi pare eterno. Guardo la mia Milano sfilare adagio fuori dal finestrino, in quel tardo sabato pomeriggio di primavera –è il 3 aprile 1943– e la scruto affascinato come un bambino divorerebbe con gli occhi il paese dei balocchi. Scendo alla fermata davanti alla chiesa di San Pietro in Gessate, poi di nuovo di corsa fino all'entrata del palazzo di via Podgora, nu- mero 15, dove dribblo l'abbraccio del portinaio.

 

«Signorino... signorino è tornato! Come sta? Come sta?»
«Bene, bene! Passo dopo a salutarla...»
Affronto i gradini della rampa di scale che porta al primo piano a due a due, come se non esistessero. Lascio cadere lo zaino a terra e sosto un attimo davanti alla porta. Ho il fiatone, la testa e il cuore mi scoppiano. Suono. Suono forte, una sola volta, ma mia mamma capisce lo stesso...

 

«Luigi, Luigi... è Peppinello, è Peppinello! Apri la porta, apri la porta!»
Sento la chiave girare nella toppa e vedo mio padre. Mia madre sta un passo indietro a mani giunte come una Madonna. Li trovo entrambi tremendamente invecchiati. Un attimo dopo siamo una cosa sola, tutti e tre abbracciati tra sorrisi sommersi di lacrime. Siamo tornati a essere una sola anima.

 

La domenica mattina partiamo per Arcisate: il paese mi sembra rimpicciolito. Le strade strette, la stazione piccola, il campanile quasi da toccarne la punta con la mano...

 

*
Lunedì 17 agosto 1942, in una torrida giornata d'estate, lasciai Gorizia per il fronte russo con il
battaglione L'Aquila: 1600 alpini, 53 ufficiali e 380 muli. Sette mesi dopo, alle prime ore del mattino

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