Qualcuno vuole fare una partita?

russia1Il 28 agosto giungemmo a Izium – oggi un paese del- l'Ucraina – ma l'interminabile trasferimento non era an-cora compiuto: tra noi e il Don c'erano altri 300 chilometri e in Russia lo scartamento dei binari era diverso da tutto il resto d'Europa.  Possibile che nessuno al Comando fosse al corrente di questa differenza? Scaricammo zaini, materiali e muli e facemmo scendere dal convoglio gli automezzi che furono schierati lungo la strada.

 

Nessuno aveva voglia di parlare. L'avventura cominciava male, e ci met- temmo in marcia l'1 settembre, sotto un cielo nuvoloso che rovesciava pioggia a scrosci, cantando: "Il 17 agosto già lo aspettavamo, arriva un fonogramma...ci
tocca partire...ci tocca partire, con la tristezza in core...lasciando
la morosa coi scarti a far l'amore. Gorizia siam partiti, per Vienna
siam passati, a Izium siamo scesi, al Don incamminati, motorizzati a piè, la penna sul cappel, lo zaino affardellato, l'alpino è sempre quel.".


Avanzavamo lentamente e faticosamente. Il terreno molle, sommato al peso dello zaino, rendeva ogni passo un'impresa. Entravamo nel fango fin oltre le caviglie, a volte fino alle ginocchia, i muli affondavano fino alla pan- cia e per liberarli bisognava scaricarli dalle attrezzature, farli avanzare e poi ricaricare tutto sulle loro pazienti e re- sistenti groppe. Il tempo trascorreva monotono, ritmato; diviso tra il giorno, in cui camminavamo a tappe forzate, e la notte durante la quale, montato il campo, dormivamo per recuperare le energie. Marciare era duro e l'alpino non aveva diritto di domandare dove andava né sapere quando sarebbe arrivato l'ordine di fermarsi. 


Durante le soste, all'ora del rancio, il maggiore comandante Luigi Boschis visitava i reparti confor- tando e cercando di convincere quegli alpini non ancora rassegnati a essere impiegati su un terreno sconosciuto che avrebbero potuto farcela, che erano stati addestrati a tutto, che erano i migliori. Il comandante si informava sulla qualità del rancio, conversava coi capisquadra e raccomandava a tutti di sospendere la caccia alle anatre, specie quando sparivano dalle borse laterali della sella del suo cavallo...
Dopo dieci giorni di marcia il battaglione L'Aquila arrivò al villaggio di Pobediuschaja e qui po- temmo avere un mese di piena tranquillità.

 

russia600Tra la caccia alle quaglie e la pesca in un vicino fiume,riuscimmo a migliorare la qualità del rancio. Sempre in nome dell'innalzamento della qualità del cibo, ho spesso chiuso un occhio quando qualche alpino rubava le patate dal campo dei contadini; a volte comperavo per trenta lire un chilo di sigarette, le Papastratos, marca greca d'importazione, che poi distribuivo, non fumavo all'epoca, ai miei alpini. Avevo il grado di sottotenente ma cercavo di applicare i regolamenti con una certa elasticità: in fondo avevo solo vent'anni e ai miei ordini c'erano uomini più vecchi di me di un bel pezzo.

 

Il battaglione L'Aquila era costituto da anziani richiamati fino alle classi 1910 e da ragazzi delle classi 1921 e 1922; molti avevano combattuto tra il 1940 e il 1941 in Grecia, e tanti erano padri di famiglia. Stavamo bene insieme. Nel mio zaino avevo un pallone, un pallone vero, di quelli con la stringa della cucitura e la pom- petta per regolare la pressione. Un giorno lo tirai fuori e dissi: «Qualcuno vuole fare una partita?». 


Scoppiò una mezza rivoluzione: volevano giocare tutti, ma erano troppi. Faticai a convincerli a lasciar partecipare solo quelli della mia compagnia, la 108a. Con gli zaini segnammo le porte – mi sembrò di rivivere le interminabili partite di via Podgora – ed invitai tutti a giocare senza scarponi per far durare di più il pallone. Purtroppo, però, dopo poche partite, la camera d'aria si ruppe. Scrissi ai miei genitori che me ne spedissero una nuova, ma a tutt'oggi quel maledetto pezzo di ricambio non è ancora arrivato! 

 

Fu una grande delusione per tutti. La palla racchiude qualcosa di atavico, di ancestrale, sveglia il bambino che dorme in noi e aiuta le persone a convivere. Mi dispiace di avere negato la soddisfa- zione di tirare quattro calci a tanti altri alpini.

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