Luigi e Anna

anna luigi350bLa morte di mio padre fu un dolore immenso. "Peppino, tu sei molto più bravo di me..." mi disse una volta "... e ora che lo studio è in mano tua, io posso andarmene in pace." Uomo di bontà e correttezza infinite, Luigino muore il 15 gennaio 1952. Fra i tanti, di lui mi resta un ricordo particolare.  Nel silenzio serale delle case italiane dove non c'era ancora la tv e per lo più gracchiava in sottofondo una radio, lui faceva il solitario con le carte, mentre mia madre leggeva o cuciva.

Quando gli capitava di dover fare una mossa scorretta diceva a voce alta: "Permettete?". La domanda non era rivolta a nessuno in particolare ma era come se chiedere il permesso gli facesse sentire la coscienza tranquilla. Una volta feci anch'io la stessa cosa.

 

Mentre mia moglie leggeva un libro, io facevo le parole crociate, nel silenzio, Lalla mi sentì dire ad alta voce: "Permettete?" Poi mi vide alzarmi dalla poltrona per cercare l'enciclopedia Garzanti: dovevo rispondere alla domanda "impossibile" di un cruciverba che mi chiedeva quale era il nome del terzo affluente di sinistra del Reno. Lalla pensò che fossi diventato matto...

 

Per mamma furono anni difficili. Lei e papà si amavano e trovarsi sola in un'età relativamente giovane fu un duro colpo. Dopo che il 23 gennaio 1974 anche lei se ne andò, presi l'abitudine di rivolger loro un pensiero ogni sera, prima di addormentarmi. Per dieci minuti instauravo una sorta di colloquio ideale, mi sintonizzavo sulla loro lunghezza d'onda, commentavo la giornata trascorsa, rivelavo le mie preoccupazioni, mi raccomandavo a loro. Esternavo tutta la mia gratitudine per avermi accompagnato in vita e perché ancora lo facevano.

 

Fu la nascita di Luigi Maria il 5 novembre 1954 a riportare in famiglia l'allegria perduta. Cresceva con le favole della mamma e le storie della mia vita dove calcio e guerra si mescolavano. "Peppino (ci siamo sempre chiamati per nome), siamo sicuri che devo iscrivermi a giurisprudenza?". "Perché, Luigi, non vuoi fare l'avvocato?".
"Non dico questo, ma, per esempio, mi sentirei portato anche per medicina: quella del medico è una bella professione...".
"Mah, non so... però so che, diventando avvocato, avresti già pronti i biglietti da visita e le buste intestate: sono quelli di nonno Luigi..."

Diventò avvocato come me, ha fatto l'alpino come me, è interista come me, anche se è più obiettivo di me. E questo è un male.

 

famiglia400"E' rigore, arbitro è rigore!".
"Peppino, il fallo era due metri fuori area...".
"Cazzo, ma sei venuto a parteggiare per l'arbitro o per l'Inter?".

Forse, per lui, tutto questo è stata una vera fregatura. A un figlio dovrebbe essere concesso di scegliere e di seguire la strada che si sente di percorrere. In piena libertà. Invece è come se lui avesse fatto, come secondo lavoro, "il figlio dell'avvocato Peppino Prisco".

 

Fin dalle scuole elementari il suo campionario di parolacce era il migliore di tutta la scuola e inoltre conosceva già anche qualche barzelletta spinta. Merito mio. Quando sua madre mi rimproverava per quegli strani insegnamenti le dicevo che, dopo la mia morte, mi avrebbero intestato una piazza: "Piazza Giuseppe Prisco, educatore".

 

Fu mandato, per coercizione materna e per apprensione genitoriale, all'Istituto Zaccaria dei Padri Barnabiti: praticamente, per andare a scuola, non doveva neanche cambiare marciapiede e bastava percorrere cento metri di strada per arrivare. Studiò di più e meglio rispetto alla scuola pubblica di quegli anni, ma ne uscì, deludendo le aspettative di mia moglie, assolutamente laico.

 

"Peppino... oggi hanno consegnato le pagelle: ho tutti i voti alti, ma in condotta mi hanno dato otto."
"Ottimo, Luigi: prendono dieci solo le persone noiose" gli risposi soddisfatto.

Luigi ha sempre giocato al pallone. Prima sul campo della scuola e in seguito con la squadra degli avvocati, quella che sfidava i magistrati in vari tornei.

"Lo sai che per non avergli passato la palla mentre era smarcato, il dottor Pomarici mi ha urlato "vaffanculo"?".

"E tu rispondigli" gli dissi immediatamente "quando si è tutti in mutande e si gioca al football nella stessa squadra, il "vaffanculo" può essere restituito anche a un magistrato: il fatto non costituisce né oltraggio né ingiuria".

 

In fatto di musica eravamo molto diversi, fortunatamente per lui. Io, che non ho mai saputo distinguere un clarinetto da un trombone, ascoltavo e cantavo –con poca grazia, va detto– soltanto i cori degli alpini. Luigi, invece, conosceva ogni genere musicale. Amava soprattutto la musica classica e quando andavo in trasferta all'estero a seguito dell'Inter, al ritorno gli portavo in regalo qualche disco in vinile con incisioni particolari. Luigi ha sempre considerato la musica la cosa più bella al mondo.

 

Eravamo agli antipodi anche riguardo la tecnologia. Per agevolarmi nel lavoro, un giorno mi regalò un registratore. Una sera rimasi fino a tardi seduto alla scrivania nello studio a dettare una lunga e particolareggiata lettera che l'indomani la segretaria avrebbe dovuto battere a macchina.

 

famiglia500"Peppino, tutto bene?".
"Sì Luigi, ho finito proprio adesso, ci ho messo più di un'ora ma è tutto pronto".
"Ok, proviamo a riascoltare".
Riavvolsi il nastro, feci ripartire il registratore dal quale, della mia voce, non sortì neppure una flebile traccia. Durante la "registrazione" avevo schiacciato il tasto "play"e non "rec".  Fu sempre lui a convincermi a comperare il primo cellulare, un acquisto di scarsa utilità, visto che spesso non lo sentivo (ero diventato un poco sordo) o lo dimenticavo da qualche parte; così scattava sempre la segreteria telefonica e diventavo di fatto introvabile. Per non parlare del computer, oggetto per molti versi misterioso e sconosciuto, al quale non mi avvicinai mai. Preferivo la vecchia, rassicurante macchina da scrivere.

 

Sono infiniti i momenti spensierati vissuti insieme, ma uno su tutti rimane indelebile. La nazionale di tennis giocava la Coppa Davis a Varsavia contro la Polonia. Decidemmo di partire per cinque giorni di serenità e sport. Solo io e lui. In quegli anni –era il 1979– vivevo sotto scorta a causa delle minacce che le Brigate Rosse si erano premurate di farmi pervenire. Un uomo della sicurezza era costantemente piazzato sul pianerottolo, un altro abitava praticamente in portineria, un terzo mi aspettava in auto e io ero stanco di tutto questo stress che mi portavo dietro.

 

Ma tutto svanì quando sentii il rumore delle palline sulle racchette e iniziai a girare la testa di qua e di là per seguire il gioco. Assistemmo a un inedito doppio Panatta-Barazzutti e l'Italia vinse con un perentorio 4-1. Anche mia figlia Anna Maria amava seguire lo sport. Spesso mi accompagnava a San Siro e ovviamente è interista da sempre: la strada tracciata da me e dal fratello maggiore è stata basilare nella sua educazione calcistica.

 

Nella sua cameretta, fino al periodo delle scuole medie, teneva appesi al muro i poster di Corso e di Mazzola, ma poi è cresciuta e mi ha deluso un po' perché li ha sostituiti con gigantografie di cantanti e attori. Tuttavia non tradirebbe mai l'Inter. Quando la sera del 27 maggio 1964, gonfio di felicità dopo la vittoria in Coppa dei Campioni a Vienna, tornai nella camera d'albergo e telefonai a casa. Rispose lei e mi disse: "Ciao, papà: ti mando un bacio. Saluta tutti i giocatori dell'Inter".

 

peppino bambinoNon aveva neanche quattro anni, li avrebbe compiuti l'8 giugno, e al sentire la sua "vocina" piansi come un bambino. Il sogno di Anna Maria è stato da sempre quello di diventare attrice e infatti, dopo la maturità classica –allo Zaccaria, come suo fratello– aveva frequentato per due anni l'Accademia dei Filodrammatici.

 

Il grande sacrificio quotidiano nel seguire i figli nell'educazione e nella scuola è stato quasi sempre a carico di Lalla: lei controllava i compiti, lei si faceva coinvolgere nei giochi, lei li guidava nelle amicizie. Per quel che mi riguarda, i molteplici impegni mi portavano ad assentarmi spesso, ma quando ero presente facevo di tutto per recuperare (forse inutilmente) il tempo perso.

 

"Basta papà, smetti di cantare, non ne posso più".
"Ok, Anna arrivo all'autogrill ci fermiamo e ti faccio riposare le orecchie".

Quando partivamo in auto da Milano per le vacanze, i miei canti alpini e gli inni patriottici diventavano un tormento. Non per me, naturalmente,ma per chi viaggiava con me. Poi, però, a Forte dei Marmi o in Engadina d'estate, a Cortina d'Ampezzo o a Saint Moritz, d'inverno stavamo finalmente tutti insieme, tutto il giorno e per intere settimane. Nulla di più bello.

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