Lettera dal paradiso di Peppino Prisco

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di Peppino Prisco

 

Cari amici,

sono commosso della festa che mi avete preparato, mi ricorda quella di 13 anni fa.

 

Oggi purtroppo non riesco a venire, perché qui è troppo difficile avere un permesso. Tutto è regolato secondo la nostra provenienza, dunque ho provato con Sant'Ivone, il protettore degli avvocati.

 

Ma Sant'Ivone è occupatissimo, è il santo patrono più indaffarato che ci sia. Di avvocati ne arrivano troppi, quasi tutti dall'Italia, non si sa più dove metterli, e per i permessi c'è una coda lunga così.

 

Allora, come alpino, ho chiesto al generale Cantore, ma mi ha detto che non vuole grane: ogni primo lunedì del mese qui ci sentivano cantare, si sono infastiditi, qualcuno si è lamentato e le autorità non vogliono mandarmi giù, perché questo significherebbe perdere la tranquillità faticosamente raggiunta nel 2001.

 

Peccato, perché quando sono arrivato ho provato a cantare gli inni della Patria, ma da queste parti preferiscono un altro genere, cantano solo gli angeli con pochi altri eletti, e pare che la mia voce sia stata giudicata poco celestiale. Insomma: divieto assoluto. E così devo restare qua.

 

Non che sia brutto, intendiamoci. Il Paradiso è proprio un bel posto. Anzitutto sono diventato di colpo giovanissimo, e lo sono ancora: qui tutti hanno molti secoli, e i novantenni sono considerati dei bambini.

 

E poi non ci sono le borse, le manovre, le tasse, lo smog, i blocchi del traffico, la crisi, la disoccupazione; non ci sono i milanisti (qualcuno è arrivato, a dire il vero, ma l'hanno subito obbligato a rinnegare il diavolo, pena la retrocessione).

 

Devo dire che l'eccesso di avvocati è compensato dal numero esiguo di notai, peraltro tutti professionisti rispettabilissimi: figuratevi che nessuno di loro mi ha mai voluto dare un passaggio in macchina.

 

D'altra parte non ci sono nemmeno le serate con voi, le allegre tavolate, le adunate degli alpini, le partite di calcio, e tante altre belle cose che rendevano la vita così terrena e così piacevole.

 

Tutte cose che rievoco con i tantissimi amici ritrovati dopo tanti anni. Molti di loro non li vedevo dall'inverno 1942/43 e nell'incontrarli di nuovo mi sono emozionato da morire. Già, ma qui morire non si può più e c'è il vantaggio che le emozioni si possono vivere pienamente, senza paura di esserne schiantati. Vi garantisco che è bellissimo.

 

Prima o poi dovrete per forza venire a trovarmi, e allora vedrete che sarete d'accordo con me. Senza fretta, naturalmente...

 

In attesa, vi mando un abbraccio e vi dico arrivederci.

Peppino

 

 

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