Meazza, il mio preferito

Giuseppe Meazza 1935bisÈ difficile fare capire ai giovani d'oggi chi era e cosa rappresentava per il calcio italiano (e non solo) Meazza, capitano dell'Ambrosiana e poi della Nazionale per molti anni. Prima di lui il calcio era una sorta di espressione dilettantistica.  La nostra federazione aveva organizzato divisioni nazionali fino al 1929 quando la Federcalcio, presieduta da Leandro Arpinati, stabilì la nascita del girone unico sia per la serie A sia per la B. Non vennero posti limiti all'utilizzo degli stranieri, i famosi oriundi, giocatori cioè che avevano origini italiane.  Il giocatore che si impose su tutti come serietà, generosità e la sua mai eguagliata classe fu Peppino Meazza, detto "balilla" perché aveva esordito a 17 anni.

 

Talento enorme ma naturale, si era formato giocando per strada; fisico gracile, venne irrobustito grazie a generosi inviti a cena dei dirigenti della società che, a turno, gli offrivano provvidenziali bistecche. Fu un vero idolo dei tifosi nerazzurri, ma anche gli appassionati delle altre squadre lo stimavano incondizionatamente.

 

Milanese, orfano di guerra, legatissimo alla mamma, alpino del quinto reggimento (sia pure per pochi mesi), correttissimo in campo e cordiale con tutti nella vita privata, attratto in modo irresistibile dal fascino femminile. Dribblava tutti, tirava sia di destro sia di sinistro ed era bravissimo nel gioco aereo nonostante fosse alto 1,69; scartava persino il portiere per depositare in rete piano piano la palla.

 

Insomma, era un vero fenomeno che vinceva le partite da solo. Nel mondiale del '38 ricordo l'emozione di Nicolò Carosio quando da Marsiglia ci diede in diretta radiofonica la notizia del rigore decisivo segnato, con una finta, al Brasile in semifinale. Meazza, durante la rincorsa, si teneva con una mano i calzoncini perché un attimo prima si era rotto l'elastico...


Quante gioie mi diede Meazza! Lo scudetto del 1929-30, quello del 37-38, la Coppa Italia del 1938-39, i Mondiali del 1934 e del 1938 con l'Italia guidata dal grande (alpino) Vittorio Pozzo. Poi il cosiddetto "piede gelato" – una cattiva circolazione del sangue alla caviglia sinistra- gli fece di fatto terminare la carriera nel 1939. Sì, perché poi, quando guarì, e passò a squadre minori (Milan e Juventus).

 

meazza priscoSinceramente non mi sarei mai aspettato che cadesse così in basso. Poi militò nel Varese e nell'Atalanta. Si riabilitò tornando da noi nel dopoguerra, quando L'Ambrosiana aveva ripreso il nome di Inter, per trascinarci fuori dai rischi di una brutta classifica, giocando a 37 anni all'ala destra e segnando due gol decisivi.

 

Nel 1946, in un locale vicino a via Dante, dove si andava a ballare, ebbi il piacere di conoscerlo di persona, dopo essere impazzito per lui sugli spalti dell'Arena negli anni 30.
"Signor Meazza, piacere, mi chiamo Peppino Prisco. Sono sempre stato un suo tifoso."
"Piacere, Meazza. Che lavoro fa?"
"L'avvocato."
"Avvocato del tribunale?"
"Sì, del tribunale."
"Ma ha lo studio lì?"


"Ho lo studio in via Podgora", specificai, "di fianco al tribunale." Quando lo salutai mi disse, ad alta voce per farsi sentire dai presenti: "io ho un amico avvocato che ha lo studio nel tribunale." Non osai precisare ma questo era il tipo di semplice e genuina istruzione corrente in quel mondo.

 

Non dimentichiamo che fu grazie a lui se Angelo Moratti dichiarò il suo amore ai colori nerazzurri: quindi gli dobbiamo tantissimo. Dedicargli lo stadio di San Siro è stato un gesto quasi dovuto. Le nuove generazioni non hanno avuto il privilegio di vederlo in campo, e forse non immagineranno mai cosa hanno perso.