Peppino e Giacinto, mai dimenticati

peppino buenos airesAdesso sono lassù, insieme. L'avvocato con il suo immancabile sigaro, Giacinto con la racchetta in mano. Ciascuno vive il proprio paradiso. Gli annunci di Sky tv sono puntuali. L'Inter è godimento fisso. Li immaginiamo così,, sempre sorridenti, dopo una vita terrena spesa a magnificare a difendere una storia, dei colori, a farne parte, a soffrirne, a sacrificare affetti e interessi personali. L'Inter per loro adesso è il "terzo tempo", quello infinito.

 

Giacinto ha finito di soffrire nei primi giornii di settembre del 2006. Un male veloce, assassino, infido, inestirpabile. É passato poco più di un anno. La sua famiglia, la moglie Giovanna e i figli con Gianfelice in testa, ne hanno raccolto un'eredità morale senza precedenti. Raramente il ricordo di un campione ha avuto testimonianze costanti, mai banali , legati a giorni felici, mai tristi. La condivisione di una lunga storia ha teneramente avvinghiato anche sconosciuti poeti, infaticabili scrittori, ma soprattutto gente comune.

 

In molti gli tributarono a Milano l'ultimo hurrà, in tanti oggi vogliono riascoltare la sua storia, che parte da Treviglio, nei borghi falciati dalla guerra, nell'oratorio vicino casa. Il campione di statura mondiale ha lasciato il passo all'uomo di infinita integrità morale. Forse non avesse fatto il calciatore, lui prototipo del terzino moderno, lui creatura calcistica di Helenio Herrera, sarebbe potuto diventare un ambasciatore. Abbiano conosciuto tutto di lui, un recente documentario televisivo ne ha tracciato un profilo sublime.

 

I suoi numeri, le sue gesta dicono quanto abbia amato l'Inter. Ne abbia sofferto per un'uscita niente affatto indolore a fine carriera di calciatore, ne abbia gioito per il suo rientro. Ne abbia esaltato le qualità paterne quando si è trattato di dire "obbedisco" a Massimo Moratti, che volle affidargli la presidenza della società nel 2004.

 

facchetti330Il suo candore , il rispetto per gli umili, l'idiosincrasia per i potenti malati di trasformismo hanno dato forza alle sue battaglie personali, tese a stanare i satanassi del calcio. Campione del mondo con l'Inter, vice campione del mondo con l'Italia, campione intercontinentale di lealtà. Sta lassù con l'avvocato Prisco a godersi l'Inter, la sua Inter, quella su cui ha scommesso prima che il male lo impoverisse di forze ma non di lucidità.

 

Peppino Prisco, invece, ci ha lasciato nel 12 dicembre 2001. Peppino Prisco, una vita col calcio. Laureatosi nel 1944 è stato uno dei più noti penalisti, principe del Foro di Milano, nonché presidente dell'Ordine degli Avvocati di Milano. Fa il suo ingresso all'Inter e nel 1963 ne assume la vice-presidenza.

 

Numerosi i successi goduti: otto scudetti, due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali, tre Coppe Uefa, due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana. Peppino Prisco ha vissuto con l'Inter cinquant'anni di meriti e gratificazioni, seguendo costantemente ogni vicenda societaria e di vita sportiva, caratterizzando il suo stile con l'ironia. Il suo più grande idolo calcistico è stato Giuseppe Meazza.

 

Ed allora eccoli ancora a raccontarsi di tutto e di più. A saltare insieme, così come avvenne per l'avvocato a Parigi, dopo la conquista della Coppa Uefa nel '98. A ricordare un'Inter che nasceva nel laboratorio Herreriano, che fermava la leggenda del Real, che congiungeva le forze per far partire la propria. Si raccontano ancor oggi di lattine e di furiose arringhe nei tribunali, non solo quelle della giustizia, si raccontano di maghi e di istrioni, di meteore e di stelle.

 

Delle accelerazioni del giovane Ronaldo, delle frustate di Ibrahimovic, già il gigante svedese acquistato dalla Juventus calata in B. Di un'Internazionale amata. Di un tempo che fu e di un tempo che verrà. Il terzo appunto...Infinito!