Fusione Milan-Inter? Peppino sarebbe impazzito

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Ho letto che, per aumentare la competitività delle due squadre di Milano, qualcuno ha lanciato l'idea di una fusione. E quel qualcuno non è uno qualsiasi ma si tratta di Ernesto Paolillo, grande uomo di banca e fino a ieri dirigente dell'Inter. Pur con tutta la stima, il rispetto e l'amicizia che ho per Ernesto, mi sono venuti i brividi ghiacciati. 

Ricordo una situazione analoga di quasi quarant'anni fa: era il 1976, l'Alemagna e la Motta erano in crisi. Si parlava con insistenza di farne un'unica industria, di agglomerarle per formare un organismo produttivo efficiente. Qualcuno si scandalizzò: tanti anni prima, Angelo Motta e Gino Alemagna forse si assomigliavano. Forse anche le rispettive aziende non erano poi tanto diverse fra loro.

Eppure i milanesi le avevano sempre percepite come rivali. Addirittura era nato spontaneo una specie di accostamento alle due squadre di Milano: i milanisti preferivano Motta, gli interisti Alemagna. Non so per chi tifassero Angelo e Gino; so solo che Alberto, figlio e successore di Gino, era interista e faceva parte del Consiglio di Amministrazione dell'Inter.

Ricordo anche che negli anni Sessanta, quando c'era l'Inter di Herrera, prima delle partite, dopo il tradizionale scambio di gagliardetti, Picchi porgeva un panettone al capitano avversario mentre una voce, diffusa dagli altoparlanti di San Siro, sottolineava il gesto e magnificava i pregi del panettone Alemagna.

Io non andavo a vedere le partite del Milan, ma immagino che lo stesso accadesse con i panettoni Motta già allora, prima della sponsorizzazione degli anni Novanta.

Mio padre era anche amico d'infanzia di Alberto Alemagna e legale della Alemagna s.p.a. Perciò, in casa nostra, vigeva il divieto assoluto di consumare prodotti Motta; ad anni di distanza confesso che qualche volta ho mangiato avidamente, di nascosto, una Coppa del Nonno col terrore di essere scoperto.

Ma torniamo al 1976: nonostante tutta questa rivalità, la fusione alla fine va in porto. Pur conservando i due marchi distinti, con le rispettive linee produttive, Motta e Alemagna diventano la UN.I.D.AL. s.p.a. (unione industrie dolciarie alimentari), società controllata dalla SME.

Funziona? Niente affatto, la Unidal l'anno dopo finisce in liquidazione, la SME passa tutte le strutture alla neo costituita SIDALM s.p.a. che dura nove anni con scarsa fortuna: nel 1985, quando l'IRI tenta di cedere la SME, questa viene stimata 497 miliardi di lire; fra le sue attività, il ramo Sidalm è valutato simbolicamente una lira.

L'anno successivo la Sidalm s.p.a. è incorporata dall'Alivar s.p.a. e le cose rimangono così fino al 1991, quando la SME incorpora la Alivar riprendendosi i due marchi. Infine, nel 1993, il ramo Sidalm viene ceduto dall'Alivar alla Nestlè. Da allora nessuna novità. I marchi Motta e Alemagna oggi tengono bene sul mercato, ma non vengono più percepiti come contrapposti. Tutto un mondo è sparito nel 1976.

Cosa succederebbe se si fondessero Inter e Milan? Non oso pensarlo. Siamo in Italia, il paese delle polemiche, delle contrapposizioni, delle rivalità, del campanile, del tifo contro. Non ci sono state solo Motta e Alemagna: abbiamo avuto anche i verdiani e i wagneriani, Coppi e Bartali, la Callas e la Tebaldi, la Vespa e la Lambretta. Solo per fare qualche esempio. Ma tutto questo ha sempre dato alla musica, al ciclismo, ai motori un gusto formidabile. Inter e Milan, fondendosi, non potrebbero continuare ad avere brand separati come se si trattasse di panettoni.

No, nascerebbe qualcosa di mostruoso, un ibrido dall'identità incerta. Chissà mai che maglia inventerebbero. Ci vorrebbero decenni per convincere i milanesi a tifare per l'Interlan o il Milazionale (orrore!) con la stessa passione di prima. E un patrimonio sociale e culturale (dico sul serio) andrebbe irrimediabilmente perduto.

No, teniamoci le nostre due squadre. A noi vanno bene così. E se pure ci prendiamo per i fondelli, ci gufiamo e litighiamo, probabilmente, per altri motivi, ci vogliamo bene lo stesso (be', insomma...).

 

Luigi Maria Prisco