Furore Bonimba

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Se penso a Boninsegna mi vengono in mente tante cose. Prima di tutto l'Inter di Herrera. Sì, perché Boninsegna era un prodotto del vivaio, aveva giocato nei "boys" dell'Inter (come una volta si chiamava la squadra Primavera) e forse, se allora non avesse avuto vent'anni, se non fosse stato chiuso da gente come Mazzola, Milani, Peirò e Domenghini, avrebbe potuto far parte di quella fantastica squadra.

Invece fu ceduto al Prato (credo in prestito), poi al Potenza; il salto di qualità lo fece dapprima col Varese, finalmente in serie A, e poi, dopo tre anni al Cagliari, tornò a casa: nell'estate del 1969 in Sardegna andarono Domenghini, Gori e Poli; a Milano arrivò lui, insieme a un sostanzioso conguaglio in denaro.

Senza nulla togliere a Bertini, Lido Vieri e Pellizzaro, fu il primo grandissimo acquisto di Fraizzoli: non aveva ancora compiuto 26 anni, dunque era nel pieno della maturità atletica. Per l'Inter era un rinforzo molto importante, direi decisivo.

Appena arrivato mise in mostra tutte le sue qualità: una grinta incredibile (volgarmente: due palle così), un fisico roccioso, uno straordinario fiuto del gol. Segnava in tutti i modi: di piede da qualsiasi posizione, di testa, su punizione, su rigore.

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Ambidestro, anche se sui calci piazzati preferiva il sinistro. Faceva reparto da solo, come si dice oggi. E forse dava più botte di quelle che prendeva. Nelle mischie sui corner, di solito sono i difensori a mettere le mani addosso agli attaccanti; con lui era un'altra cosa, esprimeva una fisicità aggressiva che faceva paura.

Una volta, commentando un derby, la moviola della Domenica Sportiva indugiò su un duello fisico fra lui e Benetti. Per chi non lo ricordasse, Benetti era un armadio a quattro ante ed era meglio stargli alla larga. Boninsegna, che era meno grosso di lui, aveva ricevuto un'entrata dura e lo inseguì per dargli un "rusone", come si dice a Milano.

La faccia che aveva era un misto di furore agonistico, rabbia e coraggio, e a Benetti convenne incassare il colpo senza fare storie. A proposito di coraggio, ricordo un Inter-Napoli del dicembre 1970: una foto, diventata famosa, immortala Boninsegna che, mentre Panzanato sta colpendo il pallone in rovesciata, fa gol anticipandolo di testa e rischiando di finire all'ospedale: temerario, epico.

Gianni Brera, che notoriamente non amava i cosiddetti abatini, aveva un'ammirazione speciale per lui e coniò, un po' per volta, un soprannome bonario e affettuoso. Cominciò a scrivere, sul Guerin Sportivo, che Boninsegna, un brevilineo a baricentro basso con la testa grande, sembrava un "Bagonghi" (ossia un nano da circo). E per un po' lo chiamò Bonimbagonghi. Il soprannome finale "Bonimba" è solo un'abbreviazione, e credo che oggi siano in pochi a ricordarne l'origine.

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La seconda cosa che mi viene in mente è la partita d'andata col Borussia di Mönchengladbach. La lattina di Coca Cola che lo colpì era piena, se no non avrebbe potuto raggiungerlo. Allora in Germania si parlò di sceneggiata, ma oggi uno che prende un colpo in testa così viene portato subito in ospedale, sottoposto a una TAC e tenuto una notte in osservazione. Anche in Germania. A lui, in definitiva, andò bene.

Nella partita di San Siro fece la sua parte con il gol del 2-0, in quella di Berlino gli attaccanti dell'Inter erano poco in evidenza. Ma in un'azione di contropiede, il terzino Müller ebbe l'infelice idea di fare un fallaccio su Boninsegna, senza fare i conti sulla sua solidità. Risultato: frattura della tibia per Müller e calcio di punizione a favore dell'Inter. Una classica "entrata da bigolo", come l'abbiamo chiamata io e lo stesso Boninsegna l'anno scorso all'Inter Club di Stradella.

Il terzo ricordo è meno allegro: al termine della stagione 1975/76, deludente per tutta l'Inter, in società credevano che Boninsegna, a 32 anni, fosse finito. Nacque così la sciagurata idea di cambiarlo con Anastasi, che dalla Juve era stato spremuto come un limone. A noi Anastasi, a loro Boninsegna e un conguaglio.

Mai fare affari con la Juve, lo si prende sempre in quel posto. A noi arrivano giocatori sul viale del tramonto, a loro soldi e a volte vantaggiose contropartite tecniche. Nel caso specifico, da noi Anastasi fece la sua onesta parte: qualche gol e una Coppa Italia; ma Boninsegna alla Juve restò tre anni, protagonista di due scudetti, una Coppa UEFA e una Coppa Italia, per poi concludere la carriera al Verona. Mi consola sapere per certo che è rimasto interista.

Oggi tanti campioni ci regalano giocate spettacolari. È un bellissimo calcio, certo, ma il coraggio, la grinta e la cattiveria agonistica che hanno reso mitico Roberto Boninsegna non ce li ha più regalati nessuno.